La Pittura intellettuale di Adele Lo Feudo
La Pittura intellettuale di Adele Lo Feudo
“La pittura è una professione dell’anima: l’artista non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto”: questa celebre frase di Picasso esprime, senza ombra di dubbio, l’essenzialità della poetica artistica della pittrice Adele lo Feudo.
Nelle sue opere vi è una discrasia, uno scarto, che di primo acchito solo le “anime belle” riescono a percepire, tra il visibile e l’invisibile, tra il narrato e il nascosto, tra l’evidenza e il celato: nel suo caso si può, senza ombra di dubbio, tautologicamente dire che “l’essenza non è ciò che appare”.
Ed è proprio in questa essenza intuita, vagheggiata, prima percepita e solo successivamente afferrata dall’osservatore, che risiede tutto l’essere del figurato e del colore: ciò che si vede nei quadri è, pertanto, esclusivamente il significato esplicito, ma non quello personale, soggettivo dell’artista.
Infatti, le sue opere non sono mai didascaliche o descrittive nel senso stretto del termine, perchè la loro caratteristica è quella di sottendere un messaggio segreto, appositamente nascosto per poi essere svelato, che va oltre la superficie, oltre le figure, il colore e i “tagli”, oltre “l’apparenza di ciò che appare”.
Si può, quindi, sostenere che la cifra artistica che caratterizza il poetaredi Lo Feudo è quella dell’intellattualità: siamo in presenza di una vera e propria “pittura intellettuale”.
Pertanto, è solo a partire da questa considerazione primordiale, ovverosia, di come l’artista prima pensa e percepisce la propria creazione, che solo dopo trasforma in qualcosa di materiale, che deve essere considerata totalmente l’attività pittorica di Lo Feudo. Attività, questa, che da origine ad un modo particolarissimo di dipingere e di districarsi tra forme e contenuti: tracce di surrealismo, di new pop-art, di spazialismo e di plasticismo, di minimalismo, di astrattismo, l’uso del fucsia, il bisogno mai appagato di “sperimentare”, le tortuosità, i tagli e le fluorescenze, l’uso dei “non-colori” (unitamente alla loro uninione che muta in un grigio quasi metallico), fanno pensare ad uno “stile Lo Feudo”.
Infatti, nella post-modernità, tutti gli artisti “di professione” cercano, all’interno della miriade di stili e di movimenti, una loro collocazione sia esistenziale che spazio-temporale e sulla scia di questo orientamento, come una sorta di magia, Lo Feudo si è “ritagliata” uno spazio proprio, originale, soggettivo, sempre in movimento ed in evoluzione.
Il capire tutto ciò, vuol dire comprendere il vero significato, il “senso pittorico” che l’artista imprime ad ogni nuova composizione e con l’attenta lettura complessiva della produzione di Lo Feudo, si può giungere ad una primo risultato interpretativo: ogni opera racchiude un significato invisibile, recondito, che rispecchia la soggettività, il pensiero dell’artista. Nel momento in cui l’osservatore riesce a comprendere tale significato, esso non rimane particolare, specifico dell’anima dell’artista, ma si universalizza, diviene proprio di ogni uomo che fruisce della visione artistica. Questo passaggio dal particolare all’universale avvicina l’uomo a Dio, lo pone in una relazione particolare con la divinità, con lo spirito del mondo.
Le opere di Lo Feudo sono una testimonianza di come sia possibile partire da se stessi, dal “dipingere la propria vita”, fino ad interloquire con l’altro da sè, fino a cogliere l’infinito, a percepire il destino comune a tutti gli uomini, in un alternarsi di gioia e di dolore, di colore e di assenza di colore, di giorno e di notte, di buio e di luce, di vita e di morte.
A tale caratterizzazione del suo stile, si aggiunge una quanto mai sintomatica commistione tra intuizione e ragione, tra aspirazione e realizzazione, tra precisione figurativa ed imperfezione, tra ciò che si vorrebbe e ciò che effettivamente è, tra sogno e realtà.
Alla luce delle opere esposte nella mostra dal titolo “Donne e Arte” (La Bottega dell’Arte – Spoleto Marzo 2012), nonostante l’originalità e l’innovazione che contraddistingue tutta l’opera dell’artista, è possibile rintracciare la presenza di alcuni grandi maestri della storia dell’arte.
Tale presenza, all’interno delle proprie opere, non è un mero “riproporre”, non è una forma di “desueto manierismo”: è solamente una “influenza artistica”, una “contaminazione”, utile all’artista nel momento della produzione materiale, e non certo in quello intuitivo, che, per mezzo di un tocco personale, originale ed inconsueto, ella trasforma in qualcosa di non riproponibile, non ripoducibile, cioè di originale, alla “maniera di Lo Feudo”.
Solamente in tale contesto, pertanto, è possibile rintracciare influenze di Warhol, Frida Kahlo, Burri, Fontana, Niki De Saint Phalle, oltre ad alcuni maestri del Surrealismo, dell’Astrattismo e del Nuovo Realismo.
Lo Feudo unisce alla passione e all’amore per la pittura, l’amore per la vita; e solo per mezzo di una conoscenza diretta della sua vita, attraverso le sue parole, possiamo afferrare pienamente “un originale fare artistico”, in un percorso che potremmo definire “dalla vita all’arte”.
Gentilissima Adele Lo Feudo, la ringraziamo anzitutto per averci concesso questa intervista. Può descriverci, brevemente, la sua attività di artista, di pittrice?
Mi piace osservare il mondo che è dentro e fuori di me …. E quando meno me lo aspetto, in particolare di notte, le mie idee vengono fuori di getto, dal profondo del mio cuore. Poi, quelle che a mente mi pare abbiano più forza comunicativa ed emozionale si trasformano in opere pittoriche.
La sua formazione artistica, come ci raccontava, è “anomala”: potrebbe illustrare ai nostri lettori le tappe che l’hanno portata a diventare una pittrice “di professione”?
Da piccola avevo un grande sogno: fare la pittrice. Ma la vita mi ha portato su strade diverse: liceo classico, laurea in giurisprudenza e pratica notarile. Ad un tratto si sono modificate alcune situazioni; così ho conseguito il diploma di interior designer e maestro d’arte. Dopo aver insegnato sette anni nel settore del design, ho deciso, tre anni fa, di dedicarmi solo alla pittura: arte che m’impegna ormai da dieci anni.
I suoi quadri sono di “Adele”: che cosa significa?
Esprimono quello che è il mio modo di vedere e sentire, gioire e soffrire …. Sono molto personali, interiori, istintivi, profondi. Esprimono la mia sensibilità e fragilità; a volte sono solari …. a volte più cupi e misteriosi. Ma, in fondo, chiunque ci si potrebbe rivedere, perché ognuno, pur nella sua individualità, è parte di un tutto, di una umanità fragile e complessa.
Lei ha un rapporto particolare con il colore fucsia: di solito si prediligono altri colori…
Trovo che il fucsia sia un colore molto bello, femminile, caldo, sensuale, misterioso, coinvolgente, focalizzatore dell’attenzione. Lo amo molto e lo uso spesso e lo sento molto vicino al mio modo di essere, in questo particolare momento della mia vita.
Ci sono altri colori, nei suoi quadri, che assumono un significato particolare?
Il bianco e il nero, come espressione di vita e morte, luce e buio, presente e passato, positivo e negativo. Amo il doppio e i contrasti. Il bianco e il nero mi aiutano in questo; con il fucsia poi personalizzo i miei lavori.
Ci ha colpito il tema del doppio: il mondo, così come la vita, secondo lei, è sempre duale?
Si, io credo che il concetto del doppio sia molto profondo e, allo stesso tempo, venga da molto lontano. Sono stati vari gli artisti che hanno affrontato tale tema, ad esempio Frida Khalo, nota pittrice messicana, che nella sua opera “Le due Frida” esalta, mettendole a confronto e in contrasto, le sue due origini: indigena ed europea.
Su cosa si sta concentrando ora la sua pittura?
Faccio una ricerca interiore attraverso una sorta di “tuffo nel passato”. Voglio riportare alla luce parti nascoste di me che ho dimenticato e recuperare pezzi della mia anima. Solo dopo aver fatto ciò, potrò, recuperata Adele per intero, guardare al futuro.
Dal passato al futuro: quali progetti ha in mente?
Ho molti sogni da realizzare ma per ora procedo cautamente. A settembre, presso la biblioteca comunale Villa Urbani di Perugia ci sarà una mia personale, nel corso della quale verranno donati a quaranta modelli, scelti per aspetti interessanti del loro carattere, dei dipinti aventi per soggetto le loro mani. In cambio, i modelli potranno lasciare un contributo da donare all’associazione “Tante mani per”, impegnata per la promozione socio-educativa della popolazione nei paesi in via di sviluppo. Per il 2013 è in programma una mostra con il fotografo cosentino Gianni Termine, del quale sceglierò alcuni scatti che interpreterò cromaticamente.
Per concludere: l’arte per Lei è anche un messaggio. Quale messaggio può esprimere l’arte nell’epoca post-moderna?
Mi rifiuto di credere che l’arte sia solo qualcosa di puramente estetico e decorativo; credo invece che debba anche trasmettere messaggi ed emozioni, incuriosendo e sensibilizzando.
di Simone Fagioli
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