La Lex Luci Spoletina è il primo esempio di “norma forestale” dell’antichità. Essa consiste in un cippo di pietra di forma quadrangolare, scritto su entrambi i lati in latino arcaico e risalente al III secolo a. C., e da essa ha preso spunto l’odierna legislazione sulle aree protette.

Esso fu ritrovato nella chiesa di San Quirico, vicino a Castel Ritaldi, murato nella facciata della cappella e fu l’archeologo e storico G. Sordini a scoprirlo nel lontano 1876, e a depositarlo nel museo archeologico di Spoleto, dove è ancora oggi custodito (Sordini rinvenì un altro cippo simile, murato nella chiesa parrocchiale di Picciche, dove, tolto, nel 1913 fu depositato anch’esso nello stesso museo civico).

Sebbene di antichissima fattura, la Lex Luci Spoletina conteneva tutti i concetti fondamentali che servono al rispetto della natura. Infatti, in esso troviamo che cosa era vietato fare, la pena prevista in caso di inosservanza della legge e colui che aveva il compito di far rispettare questa legge e, in caso di violazione, esso era incaricato alla riscossione della multa stabilita e comminata al trasgressore.

Coeva a quest’ultima era la Lex Luci Lucerina (ritrovata nella città pugliese di Lucera), che ad un certo punto afferma un principio che, tutt’oggi, è fondamentale sia per la normativa vigente nei casi di risarcimento ambientale sia nella determinazione del ruolo della collettività come promotrice di azione e di risoluzione del danno: se il divieto viene violato, «chiunque ne abbia voglia» può richiedere un rimborso al trasgressore.

La Lex Spoletina e la Lex Lucerina, le due notevoli leges logorum attestano ed esaltano la grandissima cura posta dai romani nella conservazione dei boschi sacri all’ombra e nelle radure dei quali le comunità celebravano il culto divino. In dette leggi, infatti, si fa divieto di profanare il bosco sacro con cadaveri e con immondizie (Lex Lucerina) e di tagliarne o asportarne alberi salvo in caso in cui la legna servisse per i sacrifici (Lex Spoletina).

Più in generale, esse sono la testimonianza del culto altissimo dei boschi sacri praticato presso tutti i popoli dell’antichità e la cui origine da taluni è ravvisata nell’animismo, al contrario, altri in quella specie di terrore che i profondi silenzi delle selve e la loro impenetrabile misteriosa oscurità destano nella memoria dell’uomo.
Il testo in latino così recitava:

“Honce loucom ne qu<i>s violatod neque exvehito neque exferto quod louci siet, neque cedito nesei quo die res deina anua fiet; eo die quod rei dinai cau[s]a [f]iat, sine dolo cedre [l]icetod. Seiquis violasit Iove bovid piaclum datod, seiquis scies violasit dolo malo, et Iovei bovid piaclum datod et a(sses) CCC moltai suntod; eius piacli moltaique dicator[ei] exactio est[od]”.

Ecco la traduzione in italiano:

“Nessuno violi questo bosco, nè alcuno porti via in qualsiasi modo quello che al bosco appartiene, nè si tagli, se non nel giorno in cui si faccia l’annuo sacrificio; solo in quel giorno, e perché si faccia senza inganno e per le necessità del sacrificio, sarà lecito tagliare. Se qualcuno trasgredirà [queste disposizioni] dovrà offrire un sacrificio espiatorio con un bue. Chi trasgredirà volontariamente e con cattiva intenzione dovrà offrire a Giove un bue come sacrificio espiatorio e verrà multato con trecento assi. Sarà compito del dicator controllare l’offerta del sacrificio e riscuotere la multa”.

La Lex Luci Spoletina, da un punto di vista storico-culturale, ha suscitato grande interesse ed è oggetto di studio e di dibattito da parte di studiosi ed accademici.

Infine, per celebrarne l’importanza, l’Associazione “Amici di Spoleto” ha riprodotto la Lex Luci Spoletina, facendone un alto riconoscimento artistico-culturale, conferito a persone fisiche o giuridiche che abbiano contribuito alla concreta difesa e conoscenza del patrimonio storico, culturale, ambientale, ed economico della Città di Spoleto.

   Simone Fagioli

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