“Inconsapevoli emozioni” di Simone Fagioli. Prefazione del Prof. Francesco D’Episcopo al nuovo libro edito dalla Società Editrice Fiorentina
Nel mese di dicembre 2020 è uscito il nuovo libro di Simone Fagioli dal titolo “Inconsapevoli emozioni” edito dalla Società Editrice Fiorentina.
Il volume raccoglie più di cento liriche, suddivise in capitoli, con prefazione del Prof. Francesco D’episcopo e postfazione della Prof.ssa Maria Carla Spina. Alla fine del volume si trova un breve saggio di estetica intitolato “Della bellezza e dell’atto poetico”
Si riporta integralmente la prefazione alla silloge poetica del Prof. Francesco D’episcopo, già docente di Letteratura italiana, Critica letteraria e Letteratura Comparata presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
E tu chiamale, se vuoi…
Sono le note parole di un canto di Mogol-Battisti, che sono spesso risuonate nella nostra vita a scandire quelle “inconsapevoli emozioni”, alle quali questa silloge è interamente dedicata.
Ho conosciuto Simone Fagioli molti anni fa a Spoleto, ammirai la sua cordiale disponibilità ad accompagnarmi in macchina a Città di Castello a ritirare un Premio, presieduto da Alessandro Quasimodo, al quale lo presentai. Era un giovane ricco di vita e di entusiasmo, amante delle gioie che l’esistenza gratuitamente ti dona e che egli era pronto a cogliere, anche rischiosamente, come Adamo, dall’albero dell’Eden.
Me lo ritrovo ora filosofo, critico d’arte (antica passione spoletina, se ben ricordo), addirittura componente delle Società Italiana di Scienze Matematiche e Fisiche. Tutto ciò che vuol dire? Che quel giovane, così intelligente e inquieto che io conobbi e al quale mostrai simpatia per la sua disinteressata disponibilità, è maturato, si è fatto uomo e con la passione, che lo ha sempre contraddistinto, ha dato un solido sostrato estetico, esistenziale a tutte quelle pulsioni, avide e ardenti, che si affollavano nella sua mente, nel suo cuore, invocando una cittadinanza in cui chiarirsi e, solo in parte, placarsi.
Sì, perché il poeta, secondo una linea metodologica, che da Sant’Agostino attraverso Petrarca, per giungere sino a Tasso e Leopardi e, volendosi solo per un tratto allargarsi all’ambito più propriamente europeo, coinvolge il simbolismo francese e il suo nume tutelare Baudelaire; il poeta, si diceva, è felicemente condannato a una inquietudine, che può assumere altre varie denominazioni: accidia, melancholia, che lo inducono a “sentire” la realtà più degli altri, a vederla e stravederla nel nome di una gioia o di una sofferenza, che sfida e viola i confini convenzionali e tradizionali, imposti dagli altri.
Tutto, nel segno e nel nome di quelle “inconsapevoli emozioni” che il poeta prova e di cui il Fagioli ci offre un campionario ovviamente personale, ma capace di coinvolgere nel suo spettro “emozionale” il lettore, il quale viene, a sua volta, a “sentirsi” compagno di viaggio e di avventura, che il poeta propone, delle originali cronache quotidiane del proprio vissuto, le quali, si badi bene, non risultano mai scontate o fini a se stesse, ma sottendono sempre una sorta di élan simbolico, teoretico, si sarebbe tentati di dire, che rivendica alla realtà una sua insospettabile dimensione metafisica. Si ha la forte sensazione e l’”emozione” di dover sollevare il velo, che inevitabilmente copre il mistero della esistenza, per giungere finalmente alla sua essenza, che è fatta, e non poteva essere diversamente, di bellezza, di amore, di condivisione di un destino confuso, che il poeta prova a smuovere con parole ferme, filettate nelle infinite domande, destinate anch’esse a rimanere senza risposta.
Alla presunzione della filosofia, che vuole tutto spiegare, Fagioli risponde con la contraddittoria dialettica di una poesia, che vuole invertire le consuete categorie epistemologiche, proclamando il valore del sentire prima di quello del capire. In questo macrocosmo, che si spalanca agli occhi attoniti e attenti del poeta, il quale non può fare a meno, non tanto e non solo di vedere, come si è detto, ma anche di stravedere, tra rabbia e amore e una serie innumerevole di “emozioni”, di cui questa silloge rende pienamente conto e sulla quale è doveroso mantenere una kantiana sospensione di giudizio.
Ma perché? Perché significherebbe offendere la lealtà e onestà intellettuale di un uomo, che si confessa pubblicamente e, si direbbe, candidamente (pensando a Voltaire), scandendo le stagioni della sua esistenza, non, come potrebbe apparire, per mettere ordine nella sua vita ma, al contrario, per chi suppone di ben conoscerlo, per lasciarle quel profumo di infinito, che l’ha sempre contraddistinta.
E la poesia, sempre più consapevole e matura, rappresenta la complice frontiera di quella psicoanalitica “inconsapevolezza”, che governa il nostro destino. E bisogna dare atto a Fagioli di una strutturalità sempre più avvertita, la quale, più che canalizzare le proprie emozioni in spartiti danteschi, sospesi tra Inferno e Paradiso, intende, in qualche modo, offrire al lettore una guida per orientarsi (o disorientarsi) alla ricerca di una via, se non di salvezza, di sopravvivenza.
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